2° RAID FUORISTRADISTICO - MAROCCO

  • Appena entrati in Marocco
  • Fez - le concerie
  • Cedre Gouraud, millenario
  • Verso il nulla
  • Qualcosa s'intravede
  • Dio, Patria, Onore
  • Col de talghamt
  • La tempesta
  • Bivio in chiaro
  • A colloquio con gli autoctoni
  • Imilchil, 2700 s.l.m.
  • Nei monti dell'Atlas
  • Guado del Todra
  • Zagora - per Timbouctou 52 giorni di cammello
  • Bar Royal

A volte i sogni sono così realistici da sembrare realtà… o è la realtà a volte, che è tanto incredibile da sembrare un sogno? Con questo filosofico ed insoluto quesito, il 30 luglio 2001, partiti da Taranto salutati da una schiera di parenti, amici, soci e simpatizzanti, caracolliamo a circa 100 km/h sulla SS 407 Basentana, in direzione Salerno, dove il cargo ci attende per portarci a Valencia, sulle nostre moto superattrezzate per il deserto: levagomme, camere d’aria di scorta, centraline, piastre paracolpi, attrezzi ecc… ma che c’entra Valencia? Niente! È solo il punto di partenza dell’avventura 2001 di BIROTARTIGLIATE, la sezione fuoristradistica di BIROTA, la nostra libera associazione motociclistica che dal 1997 ci permette di viaggiare, sognare, tornare. Il punto di arrivo? Il Marocco, con particolare riguardo al sud ed ai monti dell’Atlas. Sapete, per il motociclista l’Africa diventa 99 volte su 100 una malattia inguaribile, che gli fa desiderare spasmodicamente il ritorno nel momento stesso in cui l’abbandona; così è anche per me, e per i miei amici. Fra un pensiero e l’altro, ed un’ottima granita di caffè con panna in quel di Salerno, la nave inghiotte noi e le nostre cavalcature, e parte per attraversare praticamente tutto il Mediterraneo in orizzontale. Due giorni di viaggio pazzeschi e noiosi (mai visto tanti film in videocassetta), a volte irritanti. Si, perché la nave, gestita da italiani con molti marocchini che, evidentemente tornavano in patria per le vacanze, sembra una vecchia scuola differenziale: di qui i buoni, cioè gli italiani, e di lì i cattivi, cioè gli altri. Il popolo marocchino, dolce e sfortunato, disperato e sorridente, altro non ha a noi riservato, nella sua terra, che sorrisi e solidarietà (vedremo perché). Ho personalmente stigmatizzato il comportamento dell’equipaggio nei confronti degli amici extracomunitari sul questionario che ogni viaggiatore riceve alla fine della traversata.
Arrivati a Valencia, via subito verso Algeciras, da dove ci imbarcheremo per Ceuta, enclave spagnola in territorio marocchino. Circa 1000 km di autostrada, noiosissimi e sotto una canicola davvero infernale. Viaggio per tutto il tempo con l’orecchio teso verso il motore del Dominator 650 del 1990, mio occasionale compagno di viaggio, acquistato per la circostanza, ed il cuore a casa, dove il fido GS 1100 del 1998, con ormai 70000 km all’attivo (fatti tra l’altro in Grecia, Corsica, Austria, Germania, Slovacchia, Ungheria, Croazia, Slovenia, Francia, Inghilterra, Scozia, Galles, Svizzera, Lichtenstein), ma gagliardo come non mai, riposa (molto fuoristrada, anche impegnativo, nel viaggio). E lui, il Dominator, non mi ha deluso; ha anzi fornito delle prestazioni veramente fuori dalla norma (vedremo il perché). Sosta nella notte per festeggiare i 100000 km (!) dell’elefant 750 di Alcide, che insieme a Marco, su Honda XL 600 R e Vanni, su Transalp ultimo modello, forma i componenti la spedizione. Riposino in un distributore di benzina con mezzi di fortuna ed eccoci ad Algeciras; biglietto aperto su nave veloce ed imbarco verso Ceuta; mezz’ora di traversata e siamo nuovamente, e finalmente, sul suolo africano. Formalità doganali lunghe, mazzette varie a presunti “funzionari”, carta verde da stipulare in frontiera (£ 120.000, pari a circa 62 euro), ma finalmente questa è alle spalle; tanti i disperati che cercano di passare in senso contrario, per lanciarsi verso il “sogno” europeo, che per il 99% si rivela il peggiore degli incubi. Ma andiamo al “viaggio”; prima tappa, Chefchachouen, con attraversamento dei monti del Rif, fino ad arrivare a Fès, città imperiale del Marocco. Fès ci accoglie con suoni, colori ed odori tali da stordire; è una città molto grande, e tanti sono i posti da vedere, ma se dovessimo scegliere, la medina è sicuramente il migliore: il dedalo delle sue vie è talmente intricato che sembra nessuno sia in grado di disegnarne una mappa particolareggiata. Ci abbandoniamo al flusso umano, che ci trascina in luoghi di una suggestione unica, dalla scuola coranica al caravanserraglio, dai negozietti di un metro quadrato (!) alla moschea dove, a dimostrazione che tutto ha un prezzo (50 dirham, moneta del Marocco, pari a circa 10000 lire / 5.16 euro), entro a fare alcune fotografie, pur essendo un “infedele”, con gli stivali da motociclista ai piedi! È vivissimo nella mente il ricordo dei conciatori di pelle, con l’odore nauseabondo tutt’intorno; quello delle centinaia di “faux guides”, cioè false guide che ci offrono insistentemente i loro servigi; quello della più varia umanità che sia possibile immaginare che, sciamandoti attorno, sembra non vederti, ma che invece ti scruta con occhio curioso, e qualche volta critico. Male atteggiarsi a conquistatore occidentale; disponibilità al contatto umano e fermezza nel rifiuto delle proposte “strane” sono il migliore viatico per entrare in sintonia con questa gente, così diversa da noi eppure così uguale: siamo pur sempre figli della stessa terra.
Alloggio al Grand Hotel , suggestivo e caratteristico, e tutto sommato a buon prezzo: 80000 lire (41.5 euro) per la doppia, e 2000 lire (1.03 euro) per il ricovero della moto. Ceniamo in centro, in una delle mille stuzzicherie all’aperto, con spiedini, insalata e strani intingoli per sole 10000 lire (5.16) euro.
È il 4 luglio, si parte verso l’interno; la destinazione finale di oggi sono le 40 sorgenti dell’Oum Rbia, un posto molto bello con una grande cascata, dove ci accamperemo per la notte. Percorso splendido attraverso il parco nazionale dei cedri; tratti di facile fuoristrada in luoghi incantati, e l’arrivo al famoso “cedre Gouraud”, il più antico cedro dell’Africa settentrionale; scimmie in libertà e venditori di fossili, per un momento davvero bello. Continuando verso sud, le prime tende berbere, avamposti nel nulla; poi il lago Afendour, raggiunto tramite un sentiero sassoso ed accidentato, e poi … il nulla ! la pista è sparita, ma siamo piuttosto addentrati, tornare indietro non soddisfa nessuno, e quindi il fedele multitasche, emulo del cilindro prestigiatorio, tira fuori il mitico Garmin 38, compagno di tante avventure, che ci indica l’ultima, ma proprio l’ultima direzione che avremmo scelto di prendere se avessimo deciso da soli; sarà vero? Si sa, il GPS ha sempre ragione e così, dopo una decina di km di fuoripista ( e da fuori di testa, a volte), torniamo sulla pista principale, e raggiungiamo un villaggio con non più di 100 abitanti, veramente sperduto nelle campagne. Qui lo scandire inesorabile del tempo, e la sua ineluttabilità è dimostrato dai bimbi, eccitati ed incuriositi dalla nostra presenza, e dai vecchi, con lo sguardo fisso nel vuoto, a cogliere quella risposta che non arriverà mai. Pista sassosa, con tratti di asfalto (ma chi lo avrà fatto?), abitazioni di fango ed argilla di una suggestione assoluta, con una in particolare tanto piccola che io, col mio 1.84 di altezza per oltre (ahimè) 100 kg di peso, non sarei riuscito a praticare! Ancora, una strada asfaltata in quota su un costone di montagna, con lo strapiombo a destra senza nessuna protezione, ed infine una dolce discesa che ci porta alle sorgenti. Qui l’unico episodio spiacevole del viaggio: i locali si rivelano tanto insistenti da essere fastidiosi, costringendoci purtroppo a non essere gentili. Un vecchio, che sostiene di aver guardato le moto (Marco e Vanni non le hanno abbandonate un minuto), ha il coraggio di chiederci 100 dirham (20000 lire / 10 euro) per il suo servigio! Gliene diamo 10 (2000 lire / 1.03 euro) e decidiamo di andar via, pernottando altrove, per evitare situazioni spiacevoli. Il buio però incombe, e così, essendoci avventurati su uno sterrato pietroso, decidiamo di accamparci in quota, per sfuggire anche al caldo. Lasciamo le moto sul sentiero, e una piccola radura accoglie la tenda di Marco e Vanni, e le stuoie di Alcide e mia. Una delle nottate più belle della mia vita, sotto le stelle d’Africa, anche se dormita col classico occhio solo; ogni rumore carpisce la mia attenzione, ed in particolare uno scalpiccio convulso, verso l’alba: alzo la testa, col fido coltello da caccia che dallo stivale passa come per incanto nel palmo della mia mano, e vedo un vecchio, sul sentiero, con un bellissimo costume tradizionale giallo e bianco, che cerca di tirare il suo asino. Evidentemente , non ha mai visto delle moto (l’asino), e si rifiuta di proseguire. Un sorriso ed un pensiero: “ma chi mai, in questa terra meravigliosa, potrebbe volerci fare del male?”. L’asino si convince, ed io dormo un’altra oretta.
Tutti in piedi poi, di buon’ora, per la tappa che ci porterà a Midelt. Il sentiero cominciato la sera prima crea non poche difficoltà; pietre e sassi sempre più grossi, salite, discese e finalmente un villaggio, uno dei più sperduti che io abbia mai visto. Pista finita, indicazioni farraginose da parte degli abitanti e nuovo ricorso al GPS per venire fuori; altri 7 km di fuoripista (facile, questa volta) ed eccoci nella foresta di cedri prevista dal nostro itinerario. Sterrato facile, ma molto polveroso; viaggiamo a notevole distanza uno dall’altro finchè non usciamo sull’asfalto, con una calura a dir poco impressionante. Un caffè su strada ci sembra un miraggio, ma invece è vero, così come la bella ragazza mora e formosa che ci serve, con uno sguardo tra il meravigliato ed il compiaciuto: l’abbiamo osservata forse un po’ troppo fissamente? La città di Zeida, dove tutto si svolge sulla strada principale, ci vede passare frettolosamente; un alto minareto invece ci costringe ad una sosta per una foto, così come le enormi scritte, fatte con le pietre, sui costoni delle colline. Ci dicono che tutte significano Dio, Patria e Re. Saranno in ordine d’importanza? Midelt ci accoglie coi suoi bar, negozietti e gente simpatica: uno fra tutti Akim, ex emigrante che ha capito che conviene arrabattarsi qui piuttosto che patire in Europa, ci invita a casa sua e ci fa vedere il suo “negozio”. Qualche compera, non fosse altro per la simpatia del personaggio, la facciamo. Cena presso il ristorante ”Fès”, famoso e riportato su tutte le guide turistiche del Marocco. La fama è del tutto meritata; la cena è ottima, con arrosto di vitello, la “Tajine”, uno stufato di almeno 9 verdure diverse con carne, un assaggio di cous-cous, frutta e dolce tipico. Tutto condito da gentilezza e disponibilità fuori del comune; il proprietario, ogni volta (e sono state tante, vista la premura con cui siamo stati trattati) che gli dico :”merci”, mi risponde “de rien, monsieur”. Paghiamo circa 25000 lire (13 euro) a testa. Alloggiamo presso il camping “Timnay”, a 20 km da Midelt, dove affittiamo un bungalow da 4 posti, con 10000 lire (5.16 euro) a testa. Uso di piscina compreso! 6 luglio, pronti per la tappa del grande salto! Il grande sud ci attende: sabbia, dune, deserto. Un brivido di piacere mi percorre la schiena mentre ci avviciniamo alla meta, scavalcando il col de Talghant a 1900m. s.l.m., ed attraversando la meravigliosa valle delle gole del fiume Ziz, dove a minareti belli, alti e curati fanno da contraltare Kasbah di fango ed argilla segnate dal tempo e dall’incuria degli uomini. La strada si incunea nelle anse del fiume, passando tra pareti rocciose altissime e sotto il tunnel del legionario, un tunnel scavato a mano nella pietra viva, per circa 100 metri, dai legionari francesi, fino ad arrivare alla sorgente blu di Mesky, una grande piscina naturale di acqua sorgiva (ingresso 5 dirham, 1000 lire / 0.52 euro), troppo affollata però per i nostri gusti. Decidiamo di fare una piccola sosta, e veniamo subito “assaliti” da commercianti vari che vogliono vendere o scambiare della merce; concludiamo dei discreti affari, complice il cambio favorevole sia nell’acquisto che nello scambio: io scambio una maglietta con un bel pugnale dal fodero madreperlato, dando 20000 lire (10 euro) di differenza. Riprendiamo di buona lena ed ecco apparire Erfoud, paese con tutte le caratteristiche dell’avamposto desertico. Facciamo il pieno, visto che le dune di Merzouga sono ancora piuttosto lontane, e la classica guida si offre di portarci, o portare i bagagl, o le moto o quant’altro. Al nostro cortese ma deciso rifiuto seguono strani discorsi sull’italianità e sui pericoli mortali (!) che si annidano nel deserto.
Continuiamo ed imbocchiamo la pista, mentre l’adrenalina viene su a secchiate. I chilometri scorrono sotto le ruote, mentre un vento forte si alza, ed arriviamo al vecchio forte della legione straniera; foto di rito e via, verso l’interno. Il vento ben presto diventa tempesta, impedendoci letteralmente di proseguire; mi fermo, e cerchiamo di ripararci alla meglio: la sabbia entra davvero dappertutto, riesco a scattare solo 3 o 4 foto prima che la fotocamera si blocchi, mentre la temperatura sale fino ad oltre 50° C! Ci abbracciamo per proteggerci a vicenda, ed attendiamo che l’inferno finisca, mentre penso al tuareg incontrato in Tunisia, nel 1998, che mi raccontava che le tempeste di sabbia possono durare due minuti o due giorni, a queste latitudini. Scaccio il pensiero molesto, e con esso la consapevolezza di essere a corto di acqua, e vengo parzialmente premiato: dopo circa un’ora il vento, lentamente, si placa, ed io salto su, pronto a continuare. Gli amici mi fanno ragionare: è tardi per avventurarsi ancora più profondamente; Rissani è a 50 km, se torniamo indietro, ma Taouz dista oltre 100 km. Mi rendo conto che hanno ragione, ed a malincuore avvicino il pollice al pulsante di avviamento del Dominator, quando il sangue mi si gela nelle vene! Un rumore di ferraglia pazzesco proviene dal motore dell’elefant, il cui contakm segna 102500. il danno è irreparabile, e quindi bisogna pensare cosa fare: Alcide, quasi con le lacrime agli occhi, mi chiede di non abbandonare la sua “bambina” nel deserto, ed io non posso fare a meno di dire: “a costo di trainarla per 4000 km (tanto eravamo distanti da casa), Alcide, l’elefant tornerà nel suo box!”. Provvediamo quindi, con la cara vecchia corda da traino, a rientrare a Rissani, con vicissitudini che meriterebbero un racconto a parte (50 km di traino su sabbia e sassi). Arriviamo sull’imbrunire completamente disidratati ed anche un po’ demoralizzati. Decidiamo, per fare il punto della situazione, di andare in un posto confortevole, e quindi scendiamo all’Asmaa Hotel, il migliore della zona dove, per 56000 lire (27 euro) fruiremo di servizio di mezza pensione, camere con aria condizionata, piscina. L’albergo è semivuoto, e tutti sono per noi; a cena conosciamo una coppia di ragazzi marchigiani, in sella ad un GS 1100, simpatici, affabili e quasi increduli al racconto delle nostre traversie, avendo essi percorso fino a Rissani solo strade asfaltate. Petali di rose sul tavolo, camerieri gentilissimi e cena squisita; questo ci mette dell’umore giusto per decidere il da farsi, e cioè come proseguire il viaggio. Decidiamo di lasciare l’elefant presso l’albergo, e di proseguire in 4 su tre moto, ovviamente modificando l’itinerario. Decidiamo di puntare verso i monti dell’Atlas, attraversare le gole del Todra per risalirle fino ad Imilchil, visitare le gole del Dades, passare da Ouarzazate e poi da Zagora, per andare fino alle propaggini del deserto a Tagounite, e di tornare poi a Rissani, affittare un furgone e tornare in tappa unica a Ceuta. Una volta lì, Dio vedrà e provvederà. A nanna per recuperare, quindi. 7 luglio, partiamo per Tinerhir, cittadina nelle vicinanze delle gole del Todra. Ripartiti i bagagli di Alcide, ed abbandonatone qualcuno, ci si avvia. Ancora vento e sabbia, ma questa volta su asfalto; una spruzzatina di pioggia, tanto per gradire, e finalmente la meta. Sistemazione in campeggio, vicino all’ingresso delle gole, ottima cena a prezzo come sempre modico, e la seconda mazzata: Vanni costretto a rientrare per motivi di famiglia. A letto con un po’ di magone.
8 luglio, un saluto a Vanni e la decisione storica: Imilchil, cittadina d’alta quota, incastonata tra i monti dell’Atlas, famosa per la festa berbera che vi si svolge ogni anno, in cui sono le donne a scegliere gli uomini, necesse! Con le moto scariche, e con Alcide passeggero del Dominator, affrontiamo una serie di mulattiere, per un totale di circa 130 km, che ci porteranno in luoghi assolutamente da fiaba. Prima le gole del Todra, alte e misteriose, poi l’incanto dei monti dell’Atlas, lo stupore di vedere campi coltivati a 2000 metri d’altezza grazie alle generose acque del fiume, villaggi di terra privi di ogni comfort (a volte anche delle porte), bambini tanto belli quanto laceri. La mulattiera si inerpica, affrontiamo lastroni di roccia su strapiombi di circa 1000 metri (!) senza protezione alcuna; la quota sale, ma il Dominator borbotta sicuro, arrampicandosi a pieno carico sena sforzo apparente. Ecco i primi dromedari (ma cosa avranno da brucare, poi?), alcuni pastori nomadi a cavallo, simpatici e comunicativi, ed infine il passo Tzì Tirherhouzine, a 2700 m.s.l.m., che mi lascia intravedere uno spettacolo talmente bello da testimoniare inequivocabilmente l’esistenza di Dio. La vista si perde su creste orgogliose di montagne, alcune delle quali superano i 4000 metri, ed il cielo si tinge di mille e mille gradazioni di celeste. Mi sento insignificante, nonostante la mia notevole stazza, di fronte all’imperscrutabile disegno della natura, che in questi luoghi mostra tuta la sua potenza. Mi rendo altresì conto, con un piccolo brivido di paura, che tutti saremmo impotenti di fronte ad un’eventuale foratura! Il nostro equipaggiamento hi-tech del momento, infatti, difetta delle camere d’aria di ricambio, dimenticate in campeggio! Speriamo bene… Dopo il passo, la strada, sempre sterrata, si addolcisce un po’; qualche piccolo accenno di civiltà e poi ecco Imilchil; la foto sotto il cartello segnaletico è più che mai d’obbligo, visto la faticata di uomini e mezzi per arrivare fin qui. Ma non è finita: andiamo a vedere il lago vulcanico Tslit, a circa 10 km di distanza. Il lago è bello, con le acque di un blu intensissimo; ma la struttura turistica che mi era stata segnalata non c’è più, e tutto il posto è in stato di evidente abbandono. Il tempo di una foto, quindi, e via verso Imilchil, con giro turistico del paese, in verità molto piccolo, ma con tante cicogne che scelgono di mettere casa sui tetti più alti. La discesa a valle non ci riserva sorprese; arriviamo giù molto stanchi, ma altrettanto felici, io in particolar modo perché mi rendo conto che il Dominator ha percorso 285 km con meno di 12,5 litri di benzina (la capienza del serbatoio), in condizioni assolutamente limite! La piccola tanica che avevamo
per l’emergenza (visto il serbatoio da 22 litri dell’XL di Marco) non è servita, ed Alcide mi deve un caffè, scommesso a proposito dell’autonomia. l’8 luglio 2001 sarà una data da ricordare per sempre. Cena e a letto presto; domani ci aspetta un’altra lunga giornata.
9 luglio, in marcia verso Agdz, città del sud dal nome impronunciabile. Prima però una visita alle gole del Dades: molto suggestive anch’esse, e soprattutto visitabili senza alcuna difficoltà; la strada che le risale, a stretti tornanti, è stata infatti asfaltata, e non presenta più alcuna difficoltà. Un veloce passaggio da Ouarzazate, di poco interesse, e poi una splendida discesa lungo la valle del fiume Draa, per una strada detta anche delle mille Kasbah: molte infatti sono visibili dalla strada, ed ognuna di esse meriterebbe una piccola sosta. Sono sicuro che guardando e toccando la cinta esterna, ogni Kasbah ci racconterebbe la sua storia, fatta di silenzi, sofferenza, e lavoro. Ma il tempo è tiranno, ed entriamo felicemente in Agdz, avvisando il padre di un ragazzo che, rimasto in panne con l’auto circa 50 km prima, ci aveva chiesto aiuto. Grandi inchini ed inviti, ma la stanchezza ci fa muovere subito andando ad alloggiare, per 8000 lire (4.2 euro), in una antica Kasbah, dove i gestori ci riservano una stanza oblunga, con dei bellissimi dipinti sulle volte, e dei letti alquanto comodi. Il fattore di disturbo è il caldo opprimente, che fa sì che si dorma davvero poco. Buona la scusa per uscire all’alba nella palmeraia, scattando delle foto suggestive. In piedi, colazione nel centro città e via verso la mitica Zagora; di per sé la città non è niente di eccezionale, in quanto costruita dai francesi all’inizio del secolo e con una struttura urbana molto convenzionale, ma quel cartello in muratura dipinta che recita: “TOMBOUCTOU 52 JOURS” di cammello, ovviamente, è un must per chi passa da queste parti. Non troviamo subito il cartello, e visto che domani ripasseremo di qui, rimandiamo la foto, e proseguiamo verso Tagounite, alle soglie del deserto. Qui arriviamo nel primo pomeriggio, sotto un sole infernale, e troviamo alloggio nella Kasbah Ait Isfoul, dove il gestore, il simpatico Amhad, ci ha fatto mangiare (bene) e dormire sotto le stelle, attrezzandoci dei lettini all’aperto con delle lenzuola fresche di bucato, per 33000 lire (17 euro)! Un personaggio veramente degno di nota, simpatico e disponibile verso noi stranieri, senza pretendere molto in cambio. Dovremmo pensare forse un po’ di più, prima di allontanare infastiditi il marocchino che ci offre il pacco dei fazzolettini al semaforo. Escursione serale sulle dune e poi a nanna, guardando ancora una volta in faccia le stelle d’Africa che, forse per la suggestione del momento, non mi sono mai sembrate così tante, e così splendenti. Domani grosso tappone di trasferimento verso Rissani.
Presto in piedi sulla via del ritorno; trovato il cartello di Zagora abbondantemente fotografato, via verso Rissani, che dista circa 300 km, attraverso una strada asfaltata che taglia le propaggini superiori del deserto; temperatura micidiale, non un albero o un riparo. Ad un certo punto il Dominator va in folle! “Siamo fottuti” penso, visto che siamo a circa mezza strada, quindi troppo per andare avanti e troppo per tornare, secondo la migliore delle leggi di Murphy. Per fortuna la catena, piuttosto lenta, è solo uscita dalla corona. La rimettiamo in sede e ci ripromettiamo di fermarci per registrarla appena si avrà in vista un poco d’ ombra; 19 km per un alberello secco dove effettuiamo l’intervento. Sappiamo tutti che in Africa, sotto il sole, si possono avere dei miraggi; ma è possibile avere in tre la stessa visione? Bene, noi abbiamo visto perfettamente un uomo, completamente coperto e con il turbante, camminare nel nulla, senza che alcun riparo si vedesse a perdita d’occhio; chi fosse e dove andasse rimarrà per sempre una domanda senza risposta. Arrivati a Rissani, subito presso l’albergo dove ci accolgono con la solita cortesia; facciamo il più ristoratore dei bagni in piscina e nel pomeriggio usciamo a fare un giro nei dintorni; mentre percorriamo una pista, sul calar del sole, incontriamo due ragazzi che ci invitano a prendere il solito tè alla menta: O.K., ma senza comprare niente! Giungiamo quindi in una grande casa, e lì conosciamo Mohammed, un ragazzo di colore dalle maniere gentili, che ha rappresentato il momento umano più alto di tutto il viaggio; percussionista di valore, ci ha fatto ascoltare delle musiche africane molto coinvolgenti , e ci ha stupito con il suo modo di esprimersi (“a volte un incontro casuale è meglio di un appuntamento”) ma soprattutto con la sua conoscenza dell’Italia; pensate che due anni fa è venuto a suonare al festival della valle d’Itria, a Martina Franca!!! (ridente paese in collina, a 30 km da Taranto n.d.a.). Salutato il nuovo amico, col quale rimarremo sicuramente in contatto, torniamo in albergo per organizzare il rientro in Italia nostro e dell’elefant. Un trasportatore marocchino con un vecchio furgone mercedes, che consuma un pieno di gasolio e due di acqua, trasporta la moto fino al confine, tagliando tutto il Marocco per oltre 800 km. Imbarchiamo la moto a spinta, dopo aver espletato le formalità di dogana, sul traghetto veloce per Algesiras, dove giungiamo di primo mattino; lì affittiamo un grosso furgone, carichiamo tutte le moto e ci fondiamo verso Valencia, cantando a squarciagola, col mio piede destro che tenta di sfondare il pavimento del daily. Arrivati a Valencia, riusciamo a sistemare la moto al porto grazie alla cortesia di Massimo, un ragazzo (!) di Salerno: 2.04 metri per 185 kg di peso, sorvegliante del porto, il quale ci indica anche un ottimo ristorante dove ceniamo con una buona (ma alquanto cara) paella Valenciana. Abbiamo anticipato di circa tre giorni il rientro, e ci diciamo: “e ora?” ma sì, andiamocene a Madrid, che dista 350 km da Valencia. Detto fatto, restituiamo il furgone, ed andiamo nella capitale spagnola, dove passiamo due bei giorni, visitando il museo del Prado, gratis la domenica, girando il centro storico, mangiando dell’ottimo prosciutto spagnolo. Per incanto è il 13 luglio, torniamo a Valencia. Rapido imbarco, per altri due giorni di noia, e con la voglia di tornare a casa sempre più pressante. Che dire per concludere? Un viaggio che, nonostante le peripezie mi ha profondamente segnato sotto il profilo umano. Il desiderio di tornare è già fortissimo, e l’inconveniente meccanico che mi ha impedito di completare l’itinerario sarà la migliore scusa per farlo.